lunedì 29 dicembre 2025

Scrivere sull’Africa senza tradirla

 Scrivere sull’Africa è molto difficile. Io sperimento questa difficoltà tutte le volte che voglio parlare del Continente e della sua gente perché nel descrivere una situazione rischio inevitabilmente per interpretare, e quindi di non dare una foto obiettiva di quella che è la realtà. Inoltre, l’Africa è troppo grande per poterla descrivere in una parola, e le descrizioni che farei sono sempre e comunque parziali, legate ad un territorio molto piccolo e circoscritto.

Inoltre, ogni volta che parliamo di qualcosa, è impossibile parlarne in modo neutro, perché ogni singola parola costruisce stereotipi, idee preconcette, filtri all’immaginazione. Una parola descrive, però può aprire uno sguardo, ampliare la mente e stimolare il ragionamento o può anche rafforzare uno stereotipo. Immaginiamo, per esempio, le parole “nero” e “negro”. Entrambe dicono la stessa cosa, ma la seconda ha un significato molto più negativo, e condiziona sempre la percezione di chi ascolta. Se io decido di usare la seconda parola, sto liberamente decidendo di manifestare qualcosa in cui credo, qualcosa che forse non ammetterei apertamente, ma che è dentro di me. Sto usando un aspetto dell’Africa per manifestare qualcosa che secondo me è negativo. In questo caso sto “usando “ l’Africa.

Secondo me ci sono 4 modi di tradire l’Africa. Il primo è senz’altro quella di parlare al posto di essa. Quando si dice “Io ho capito” si rischia di dare una interpretazione personale e limitata alle proprie conoscenze, e non di restituire l’essenza dell’Affrica stessa.
 
Il secondo riguarda la varietà dell’Africa. Non si può parlare del continente in modo semplicistico o univoco perché è uno dei più variegati del pianeta. Per questo motivo credo che sia anche umanamente impossibile “capire” l’Africa del tutto e controllare ogni aspetto.
 
Il terzo riguarda il dolore. Dobbiamo prendere atto che la povertà, e quindi il dolore ad essa associato, sono un elemento costitutivo importante dell’Africa. Ma non si può usare questo dolore come strumento per manipolare le persone.
 
Il quarto riguarda il ruolo di chi scrive. Molte volte mi chiedo con ansia se, chi legge quello che scrivo, si fa una idea giusta di me. Io non sono una salvatrice, non voglio esserlo perchè richiederebbe troppa responsabilità. Io voglio essere solo una presenza, una persona che è entrata in contatto con una realtà che l’ha cambiata, ma che accetta di non capire tutto, e che onestamente ammette i suoi dubbi e ammette di non sapere per essere rispettosa verso le culture che ha incontrato.
 
Il quinto riguarda il proposito stesso di un testo scritto: occorre scrivere per indurre il lettore a farsi delle domande e a cercarsi le risposte, non per infondere sentimenti di pietà, dolore, invidia o superiorità. Chissà se io ci riesco sempre….
 
In conclusione, credo che per parlare dell’Africa occorre avere chiaro in testo l’obiettivo che con il nostro racconto dobbiamo fare spazio: spazio a domande, curiosità, impressioni e voglia di comprendere. In altre parole, dobbiamo mettere da parte il nostro ego ed essere convinti che scrivere sull’Africa significa accettare di non possederla, ma di essere una persona in più che, come il lettore, vuole imparare.
 

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